Gruppo vocale Alamire - Commenti ai brani
 

Guida all’ascolto

JEAN MOUTON (ca. 1459 - post 1522)
Salve, Mater Salvatoris
(motetto a 4 v.)

Salve, Mater Salvatoris è per molti versi un raro esemplare di motetto, insieme ad altri motetti di Mouton, che amava comporre portando all’estremo l’applicazione del linguaggio del contrappunto e del canone (l’esempio culminante è Nesciens mater, un canone quadruplo a 8 voci). Pubblicato nel terzo volume dei Motetti novi di Andrea Antico (Venezia, 1520), ci è tramandato anche da vari manoscritti, in particolare dall’importante manoscritto Add. 35087 della British Library, noto anche come Canzoniere di Hieronymus Lauwerijn van Watervliet, prodotto probabilmente a Bruges nel 1505-1506.
La lezione del manoscritto Add. 35087 è probabilmente la più vicina all’originale come composto dall’Autore1: come riportato da Martin Picker nell’ottavo volume dei Monuments of Renaissance Music, nel manoscritto londinese il verso finale del motetto è diverso da quanto riportato da Antico nella citata edizione a stampa: invece di “sis nobis fons venie” compare: “regis nostro Carolo Maria fons venie”. Il testo riportato da Antico richiede una ripetizione sul finale, mentre quello dato da Add. 35087 si adatta più naturalmente alla musica, e per questo Picker suggerisce che potrebbe essere considerato il più “autentico” (e noi aggiungiamo: le probabilità che questo riferimento a un sovrano sia opera dell’Autore e non di altri ci sembrano altissime). Il riferimento, molto probabilmente a Carlo VIII di Francia, offre una lassa datazione del motetto agli anni 1483-1498, periodo in cui regnò Carlo VIII.

1. Una rigorosa architettura basata su un canone inverso

Questo motetto è caratterizzato dall’utilizzo intensivo dell’imitazione inversa, una scelta quantomeno insolita nella polifonia vocale. L’intera architettura del motetto poggia sul principio dell’imitazione inversa, che lo percorre e lo definisce dal principio alla fine: la struttura del motetto coincide con il susseguirsi di cinque motivi che danno origine a sei episodi imitativi basati sul principio dell’inversione. Tutto il resto, come si vedrà, fa da ornamento a contorno di questa rigorosa impostazione canonica. Si noti che in tutti i manoscritti, come anche nell’edizione di Antico, il canone inverso è espresso in forma esplicita, mentre nel manoscritto Add. 35087 viene espresso in forma criptica, tipica del canone, attraverso il motto evangelico “Canon. Qui se exaltat humiliabit” (Lc 14, 11;18, 14; il motto ricorda inevitabilmente il “Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles” del Magnificat, Lc 1, 52)2. E questo elemento, che di nuovo fa pensare ad un’autenticità del motetto come tramandato da questo manoscritto, evoca il gusto per gli enigmi associati ai canoni tipica dei compositori barocchi. Attraverso il motto latino l’artificio dell’inversione che tanto caratterizza questo brano acquista un valore allegorico-morale che ritroveremo, ben 250 anni più tardi, in vari canoni (strumentali) di Bach3.
Il canone inverso viene presentato in tutta la sua bellezza, dal Tenor (dux) e dal Cantus (comes), all’inizio del brano, mentre le altre due voci tacciono4:


Si noti che, al fine di chiudere questa prima esposizione dell’inizio del canone inverso eliminando l’iniziale distanza di due battute tra dux e comes, l’autore devia dall’osservanza rigorosa della norma imitativa, imitando un frammento del tema (Tenor, batt. 5-6) con imitazione proporzionale per diminuzione (cioè dimezzando le durate delle note), mantenendo l’inversione, che è la norma principale adottata (Cantus, batt. 7-8):


(Tenor, batt. 5-6)

diventa:

(Cantus, batt. 7-8)





Da questo momento in poi, tutte le sigle con cui indicheremo episodi del motetto (tipo A, B1, C, ecc.) fanno riferimento a una versione della partitura completa in cui abbiamo evidenziato la struttura del brano; le sigle A, C, D, E, F si riferiscono ai vari episodi che costituiscono il canone inverso, mentre le sigle B1, B2, B3, B4 si riferiscono ad altri episodi estranei al canone.
Alla conclusione del primo episodio Tenor e Cantus sviluppano un piccolo gioco imitativo (B1), su cui si innesta una ripetizione del primo episodio (A) al Bassus (dux) e al Altus (comes). Da questo punto in poi, il canone inverso sarà sviluppato da queste due voci, mentre Cantus e Tenor “giocano” proponendo episodi imitativi (senza inversione, questa volta) o riecheggiando a vicenda frammenti di melodia (B2, B3 e B4).
Nella parte centrale del motetto (batt. 29-44) Cantus e Tenor si astengono dall’utilizzo dell’imitazione, mentre il Cantus (batt. 31) propone un frammento ritmico-melodico che verrà riecheggiato a più riprese dalle altre voci (comprese le due coinvolte nel canone inverso): batt. 33 (Cantus e Bassus in parallelo), batt. 35 (Cantus e Altus), batt. 39 (Cantus), batt. 43 (Cantus):


(Cantus, prima occorrenza del frammento
ritmico-melodico ricorrente, batt. 31)


Il continuo riecheggiare di questo frammento ritmico-melodico sembra prendere temporaneamente il posto del gioco imitativo tra Cantus e Tenor fino alle soglie del finale del motetto, quando, alla batt. 45, il Tenor propone un ultimo breve motivo all’imitazione del Cantus (B4), preparando il finale con un aumento della “densità contrappuntistica”.

2. Un livello di significato più astratto

Considerando il rapporto strettissimo, addirittura intimo, tra musica e testo nel motetto in generale, Salve Mater Salvatoris si presenta come brano atipico anche per il fatto che la sua ragion d’essere sta proprio nella scelta compositiva rigorosa e vincolante del canone inverso come principio strutturante. Il testo semplicemente “riveste” la musica, interagendo con essa soltanto tramite il rapporto fra il testo mariano e il motto latino che esprime la regola da cui ricavare il comes del canone inverso. Ma forse questo rapporto si sviluppa in modo ancora più profondo a questo livello astratto, slegato dai particolari del testo-musica: per esempio, potrebbe essere significativo il fatto che il ruolo di comes spetti sempre alla voce più acuta (al Cantus nel primo episodio, all’Altus in tutti gli altri casi). Proprio in relazione al motto latino presente in Add. 35087, il dux si esalta (cioè viene “portato in alto”) perché viene imitato da una voce acuta, ma siccome l’imitazione è inversa questa esaltazione si trasforma in umiltà. Considerata in quest’ottica, la scelta generale di affidare il canone inverso al Bassus e al Altus forse vuole proprio sfruttare il maggior contrasto nel colore delle voci per evidenziare questa trasformazione.
Nel complesso, inoltre, il motetto si presenta fluido, scorrevole, meditativo, intenso, ma anche privo di particolari momenti culminanti, proprio come se l’imperante artificio dell’inversione fosse in grado di trasfigurare l’esaltazione della tecnica contrappuntistica in apparente quiete e semplicità5.


3. Piccola nota sulla nostra esecuzione

Ci permettiamo un’ultima nota specificamente legata alla nostra esecuzione. Per motivi di estensione delle parti centrali (troppo bassa la parte dell’Altus per Simona, ma troppo alta quella del Tenor per permetterci di trasportare anche soltanto un semitono sopra), eseguiamo questo motetto scambiando le parti tra Altus e Tenor e trasportando di un semitono6. Quindi l’Altus canta la parte del Tenor un’ottava più bassa di come scritta nella partitura, tranne la prima frase, che enuncia come dux l’inizio del canone inverso, che risulterebbe troppo “scura”.
D’altra parte, il fatto di attribuire al Tenor il comes del canone inverso speriamo renda più evidente la trama principale del motetto, che risulta così affidata alle due voci maschili del gruppo.


4. In morte regis? Un’ipotesi di datazione

Abbiamo già accennato al fatto che Bach amava l’imitazione inversa (benché più in un contesto di musica strumentale), anche come veicolo di significati simbolici. Sappiamo che Bach fu uomo tanto orgoglioso quanto umile e che il suo rapporto con il potere umano fu quantomeno travagliato, oscillante tra bisogno e critica, come provato da molti fatti della sua vita e da svariati “episodi” musicali7. Il culmine della critica di Bach al potere umano è forse riscontrabile nella Musicalisches Opfer BWV 1079, dedicata a Federico II di Prussia8. Non conosciamo altrettanto bene la vita di Mouton, ma forse il manoscritto Add. 35087 può gettare luce su un frammento dell’uomo Mouton, consentendo anche un’ipotesi di datazione del motetto non così peregrina.
Se davvero, come sembra, Add. 35087 è più vicino all’Autore di tutte le altre testimonianze che ci tramandano il motetto, allora forse il riferimento a Carlo VIII e il motto latino, insieme, ci mostrano un Mouton intento a invocare Maria perché sia “fonte di perdono” per il sovrano, per motivi che la storia ci nasconde - anche se il motto enigmatico che cripta il canone inverso (“Qui se exaltat humiliabit”) ci lascia intuire che potrebbe trattarsi di un peccato di superbia.
Proviamo a riconsiderare il ben documentato e studiato “caso Bach”. Nella Musicalisches Opfer Bach cripta il canone 4 per augmentationem contrario motu con il motto “Notulis crescentibus crescat Fortuna Regis” (“Come crescono le note, così cresca la Fortuna del Re”). Si tratta di un canone proporzionale per aumentazione e per moto contrario (inversione del tema), dunque le note “crescono” in durata, ma gli intervalli sono invertiti, e dunque tutti gli intervalli che “crescono” verticalmente vengono convertiti in intervalli verticalmente “diminuiti”: un’ambiguità che un autore come Bach non può non aver percepito, e che possiamo senza dubbio considerare intenzionale. E poi abbiamo il canone 5 per tonos, un canone a spirale accompagnato dal motto “Ascendenteque Modulatione ascendat Gloria Regis” (“Come la modulazione sale, così cresca la Gloria del Re”). Con il termine “canone a spirale” si intende un canone la cui tonalità si alza di un tono ad ogni ripetizione; ma nell’esecuzione del canone bachiano questa “spirale tonale ascendente” non è immediatamente percepibile a causa dell’uso del cromatismo9. Grazie a questi enigmi che creano una tensione, un’ambiguità, un contrasto tra quello che ci si aspetterebbe e ciò che la musica effettivamente comunica, Bach mostra quanto piccola sia la gloria degli uomini, contrapposta a quella di Dio! In entrambi i casi il motto latino che accompagna i canoni di Bach allude a una glorificazione del potere umano che viene poi negata o contraddetta dalla realizzazione musicale degli stessi.
Cosa sta dietro il riferimento, in Add. 35087, a Carlo VIII e al peccato di superbia a cui sembrano alludere sia il motto latino che la sua realizzazione musicale per mezzo del canone inverso? Bisogna in primo luogo ripercorrere le vicende principali del regno di Carlo VIII, caratterizzato dalla sanguinosa e, in ultima analisi, inutile campagna italiana (che inaugurò un lungo periodo di guerre in cui le potenze europee si contesero il nostro Paese). Fu una campagna costosissima e sanguinosa (soltanto per la conquista del castello di Monte San Giovanni e di Tuscania morirono circa 1500 persone, esclusi i caduti dell’esercito francese). Carlo conquistò praticamente tutta la penisola, e fu un passo molto più lungo della gamba - sia per i costi della spedizione, sia perché la nuova situazione non risultò gradita alle altre potenze europee. Si formò così la Lega antifrancese, che tagliò la strada all’esercito di Carlo di ritorno in patria, trasformando la vittoria in disfatta totale (battaglia di Fornovo, 6 luglio 1495: l’esercito francese fu distrutto). Negli ultimi anni della sua vita Carlo non abbandonò la sua originaria ambizione, ma i debiti contratti per finanziare la campagna italiana gli impedirono di riorganizzare il suo esercito. La morte di Carlo VIII (7 aprile 1498) fu improvvisa e inattesa quanto banale nelle sue cause: emorragia cerebrale causata da un incidente di gioco. Con lui finì la dinastia dei “Valois diretti”. Suo cugino, Luigi II di Orlèans, divenne re di Francia con il nome di Luigi XII, ereditando un Paese in rovina, risultato di una politica megalomane che si era sgonfiata su se stessa.
Proviamo infine a mettere insieme i pezzi del puzzle. In primo luogo, dopo il 1500, quando Mouton era ormai un compositore famoso, apprezzato alla corte francese e da papa Leone XII, troviamo numerosi esempi di motetti esplicitamente composti da Mouton per varie occasioni più o meno “mondane”, spesso legate alle vicende della famiglia reale, di cui elenchiamo soltanto qualche esempio:
  • Non nobis Domine, per la nascita della principessa Renata (25 ottobre 1510);
  • O Maria piissima; Quis dabit oculis nostris, per la morte della regina, Anna di Bretagna (9 gennaio 1514);
  • Exalta Regina Galliae, per celebrare la vittoria francese alla battaglia di Marignano (13-14 settembre 1515).
Non ci stupirebbe, dunque, l’idea che in anni precedenti la sua ascesa Mouton abbia composto Salve Mater Salvatoris per un’occasione specifica. Il verso finale del testo del motetto in Add. 35087, con il suo riferimento a Carlo, avvalora questa ipotesi. Il motivo per cui il motetto si chiude chiedendo perdono per il sovrano non è immediatamente ovvio, ma il motto evangelico che fa da chiave per la risoluzione del canone implica che si tratti di un peccato di superbia o di un’ambizione sfrenata che ha portato, dopo il tentativo di elevarsi, all’inevitabile caduta: è la parabola ascendente-discendente di Lucifero e della torre di Babele. Ricordiamo infine che Carlo morì a soli 28 anni, in circostanze banali, senza eredi, ponendo fine a un’intera dinastia di sovrani francesi. I pezzi del puzzle si incastrano bene tra loro, e l’immagine che ne risulta è quella di un Mouton che compone un motetto in cui il contrappunto crea un’architettura basata su un canone inverso che raffigura la rovinosa parabola di Carlo, mentre il testo prega Maria perchè interceda per lui, perché la sua ambizione, e le conseguenze che questa ebbe sull’intera nazione, siano perdonate. E tutto ciò, con ogni probabilità, in occasione dell’improvvisa morte di Carlo, suggerendo fortemente che il motetto sia stato composto nella primavera del 1498.
1 Quando si parla di manoscritti, si fa sempre riferimento al concetto di tradizione manoscritta, cioè il processo attraverso il quale venivano prodotte nuove copie di un manoscritto: si trattava, essenzialmente, di una copiatura manuale di un esemplare esistente, da cui venivano prodotte una o più copie. Ogni manoscritto è per definizione un “pezzo” unico, anche perché ogni copia contiene degli errori (in aggiunta a eventuali correzioni - o, a volte, tentativi di correzione da parte del copista). In sostanza, l’analisi degli errori e delle varianti presenti nei vari testimoni manoscritti, insieme ad altri elementi (tipo di scrittura, tipo di inchiostro, legatura, annotazioni di possessori del manoscritto, ecc.), permette di creare lo stemma codicum, una sorta di “albero genealogico” dei manoscritti che tramandano un certo testo. Tale schema è poi utilizzato per risalire a una forma del testo che sia il più possibile vicina a quella voluta dall’Autore.
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2 Il rigore nell’applicazione degli artifici imitativi fa sì che il canone possa essere espresso in forma criptica quanto in forma esplicita: nella forma esplicita il canone viene sviluppato nelle sue varie parti, mentre nella forma criptica viene fornito solo il tema del canone, più la “regola” da seguire per sviluppare il resto delle voci. Questa è la modalità naturale di scrittura del canone; persino il più antico canone conosciuto, Sumer is icumen in, è espresso in forma criptica (cfr. British Library, ms. Harley 978, f.11v.). Quando la regola è espressa tramite un enigma, si parla di canone enigmatico.
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3 Su questo argomento si vedano le pagine The canons and fugues of J. S. Bach di Tim Smith, in particolare il saggio That crown of thorns.
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4 Dal momento che si parla di un canone, utilizzeremo la terminologia appropriata per indicare le voci interessate. Il termine dux (dal latino, “colui che conduce”) indica il tema, mentre il termine comes (“compagno”, “colui che accompagna”, plurale comites) indica una o più voci che imitano il tema (indipendentemente dal tipo di artificio imitativo utilizzato).
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5 Citiamo come caso esemplare della possibilità che l’artificio dell’inversione sia in grado di conciliare gli opposti il famoso canone Concordia discors BWV 1086 di J. S. Bach:

Il motto latino esprime il fatto che le parti, pur essendo l’una contraria all’altra per quanto riguarda la direzione ascendente/discendente degli intervalli, formano un’unica armonia. In particolare, si può notare come a tratti le melodie divergano, come ci si aspetterebbe (per es. batt. 2 e 4), mentre in altri punti (particolarmente notevoli le battute 6-7) scorrano parallele, come per “negare” il principio divergente dell’imitazione inversa; osserviamo anche come la battuta 8 riunisca in sè entrambe le opposte tendenze. Questo effetto, certamente voluto e ricercato con cura, deriva dalla calcolatissima combinazione tra la melodia del tema e l’artificio imitativo usato (cioè l’imitazione inversa).
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6 Questa operazione potrà, a prima vista, apparire un po’ strana, ma è qualcosa di simile a ciò che i cantori dell’epoca facevano normalmente. Come puntualizza Giovanni Acciai: “[...] nel Cinquecento con i termini Cantus, Altus, Tenor e Bassus non si indicava un determinato tipo di voce, così come avviene oggi, ma più semplicemente un’estensione di suoni, regolata dalla chiave, all’interno della quale ciascun cantore trovava la sua naturale collocazione vocale.” (Musica divina : antologia di musiche polifoniche dei secoli 15. e 16. / a cura di Giovanni Acciai, Marco Berrini e Marco Boschini. - Milano : Edizioni Suvini Zerboni, 1995. - (I quaderni della Cartellina : polifonia sacra, 6), pag. IX, nota 7). Nelle fonti alle due voci centrali viene attribuita la chiave di Altus; se pensiamo che queste parti erano normalmente cantate da voci maschili nel registro acuto (o da castrati), è facile constatare come renderle in modo adeguato con una voce femminile (nel registro grave) sia spesso difficile, a volte impossibile.
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7 Per esempio, nel 1708 il consiglio cittadino di Mühlhausen commissiona a Bach una cantata per celebrare il rinnovo del consiglio stesso; il risultato è la cantata Gott ist mein König BWV 71, di gran lunga superiore alle composizioni abitualmente scritte ed eseguite nella città per simili occasioni. Come maliziosamente lascia intendere James Gaines nel suo libro Evening in the palace of reason: “the title [...] seems a bit provocative for an event meant to glorify civic bigwigs, and it takes until the last movement to get around to mentioning them” (Evening in the palace of reason : Bach meets Frederick the Great in the Age of enlightenment / James R. Gaines. - London ; New York : Harper Perennial, 2005, pag. 95 (vedi in Amazon)). Per la cronaca, forse il consiglio non colse la tonante rivendicazione del primato del potere divino da parte del Coro iniziale della cantata, ma pagò la pubblicazione del libretto e della musica, nonostante la mole e complessità della cantata facesse lievitare i costi di pubblicazione rispetto al normale (e si tratta di una delle pochissime opere di Bach pubblicate a stampa). Si veda inoltre il racconto fatto da Cristoph Wolff delle orgogliose reazioni musicali di Bach ai tentativi del consiglio cittadino di Leipzig, nel 1749, di trovare prematuramente un successore (il candidato era Gottlob Harrer) a un Bach in cattiva salute (Johann Sebastian Bach : the learned musician / Christoph Wolff. - New York : W.W. Norton, c2000, pagg. 442-446) (vedi in Amazon).
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8 Il 7 maggio 1747 Johann Sebastian Bach si recò in visita al palazzo reale di Federico II di Prussia, a Potsdam. Federico, appassionato di musica e discreto flautista, interruppe la preparazione del consueto concerto serale per accogliere il visitatore che da tempo aveva desiderato incontrare. Fedele alla sua strategia militare della guerra lampo, senza dargli il tempo di cambiarsi o riposare dal viaggio, il sovrano trascinò Bach a vedere la sua collezione di fortepiani, e poi, davanti a tutti i suoi ospiti, volle mettere alla prova le capacità di quel maestro tanto celebrato e criticato proponendogli come soggetto per una fuga da improvvisare in quello stesso momento su uno degli strumenti una melodia di propria invenzione: una melodia traditrice, del tutto inadatta allo scopo, passata alla storia come Thema Regium. Bach non poté che accontentare Federico, ma sicuramente non gradì: non gradì il tema proposto, non gradì il modo in cui Federico lo mise alle strette, e probabilmente non potè evitare di sentirsi esibito come un fenomeno da fiera. Insomma, le due fonti che ci raccontano questo episodio celebrano la fuga improvvisata da Bach, ma Bach stesso si dimostra insoddisfatto, scontento di quella sfida che probabilmente aveva leso il suo orgoglio, e decise di replicare. Nel giro di due mesi Bach compone e pubblica la Musicalisches Opfer, tutta basata sul Thema Regium, e ne dona una copia a Federico. L’opera è una chiarissima rivendicazione della dignità di Bach rispetto alla situazione sgradevole in cui si era trovato, e tutt’altro che una semplice elaborazione della fuga improvvisata quella sera e poi offerta al sovrano. Il formale ossequio del testo dell’epistola dedicatoria è contraddetto da due elementi macroscopici: il fatto che il testo sia in tedesco, lingua che Federico riteneva barbara e grossolana rispetto all’amato francese; e lo stesso termine scelto da Bach, “Opfer” (in grandissimo risalto tipograficamente), che non denota un’offerta nel senso comune del termine, ma ha un significato prettamente liturgico e teologico in riferimento all’offerta dell’Eucaristia - e Federico notoriamente non gradiva ciò che “puzzava di religione”. La Musicalisches Opfer è un’opera ricca di contrasti tra ciò che si dice e ciò che la musica effettivamente realizza. Ne fa parte, per esempio, una sonata a tre (con una parte per flauto traverso) in stile galante che di solito viene definita come una sorta di omaggio al gusto musicale del sovrano - peccato che sia tutta intrisa di contrappunto rigoroso, e che la parte del flauto fosse certamente al di là delle capacità esecutive di Federico - insomma, più una lezione di umiltà che un omaggio! Dilungarsi oltre sull’argomento sarebbe inappropriato, ma quanto abbiamo detto vorrebbe rendere l’idea di quanto conflittuale sia quest’opera bachiana, in cui nulla è come si dichiara che dovrebbe essere. Neppure la gloria del re.
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9 D. Collins, W. A. Schloss, An unusual effect in the Canon per Tonos from J. S. Bach’s Musical Offering, “Music perception”, 2001, 19(2), 141-153. (torna al testo)