Gruppo vocale Alamire - Commenti ai brani
 

Guida all’ascolto

GASPAR VAN WEERBEKE (ca. 1445 - post 1516)
Panis angelicus
(motetto a 4 v.)

Non ci stancheremo mai di ribadire quanto il nesso musica-testo sia importante, e addirittura necessario nel caso del motetto, che da questo stretto rapporto trae la propria ragion d’essere. Il Panis angelicus di Gaspar offre un esempio limpido di questo rapporto e ci mostra in modo molto chiaro come la riflessione sul testo da musicare sia spesso l’origine stessa dell’espressività di un brano.
Facciamo notare, per inciso, che Gaspar fu uno dei membri prominenti della celebrata Cappella Viscontea di Galeazzo Maria Sforza (1444 - 1476)1, insieme a Compère (ca. 1445 - 1518) e a Franchino Gaffurio; in effetti, questo autore ci permette di ampliare il nostro piccolo saggio di autori “milanesi” dell’epoca.

1. Contemplazione dell’Eucaristia

La prima parte del motetto è in stile accordale, meditativa, serena; valga come esempio la prima frase (batt. 1-6):

Qui meditiamo musicalmente la prima parte del testo, introducendoci nel mistero dell’Eucaristia:

Panis angelicus
fit panis hominum;
dat panis caelicus
figuris terminum
Il pane degli angeli
diventa nutrimento degli uomini;
il pane del cielo
porta a compimento tutte le profezie


2. Stupore & gratitudine

Segue un duetto Soprano/Alto (batt. 22-28), che segna la reazione stupita davanti al mistero della Salvezza (“O res mirabilis!”), basato sul parallelismo per seste delle voci, che si rompe soltanto alla battuta 27, quando il duetto si conclude con una clausola con ritardo. Facciamo notare come questa parte del motetto guadagni scorrevolezza anche grazie al primo vero melisma del brano, in cui la sillaba “ra” di “mirabilis” viene elaborata lungo quasi 4 battute (batt. 23-27).

Per noi questo duetto segna l’inizio di una nuova fase dell’espressività del brano: il solo fatto che si passi da 21 battute a quattro voci in stile accordale a un duetto è già indicativo del fatto che qualcosa sta cambiando; e il movimento nuovo, fresco, suggerito dalla melodia suggerisce di passare dalla contemplazione del mistero a un moto di gratitudine e stupore. Così eseguiamo il duetto in modo nettamente più vivace rispetto alla prima parte.
Il duetto sfocia in un nuovo, breve ma intenso episodio contemplativo (“manducat Dominum”, batt. 29-36): si ritorna al mistero, ma ora lasciamo che lo stile accordale di queste battute scorra leggero sull’onda del duetto precedente, introducendo la parte finale.


3. Quando musica e testo sembrano entrare in collisione...

Nella parte finale, a sorpresa, (batt. 37-46) cambia tutto:
  • il tempo passa da imperfetto (reso nella partitura come 2/2) a perfetto (3/2), quindi si richiede una decisa impennata nel tempo e nel carattere generale dell’esecuzione;
  • dallo stile accordale e del parallelismo del duetto (in entrambi i casi si tratta di scelte stilistiche che negano l’autonomia delle parti) si passa a quello che è l’unico episodio in stile imitativo del motetto;
  • l’elaborazione del testo si fa più distesa e si dilata notevolmente;
  • l’andamento delle parti si fa più vario e l’interazione tra le quattro voci produce un finale ricco di movimento.
Possiamo quindi dire che, da un punto di vista strettamente musicale, il finale si pone in netto contrasto, se non addirittura in antitesi, con tutto ciò che precede. Verrebbe da chiedersi come mai avvenga un mutamento così drastico. Spesso il finale di un motetto è immediatamente preceduto da un episodio culminante, e spesso il movimento delle parti è utilizzato per ottenere questo effetto. In questo caso, però, colpisce la misura dell’effetto ricercato dall’autore. E per capire, di solito, è utile considerare il testo: “pauper, servus et humilis”, cioè “il povero, lo schiavo e l’umile”. Il ricorso al testo chiarisce molte cose: il mistero celebrato in modo così festoso nel finale del motetto è il fatto che il Signore si è rivolto prima di tutto agli ultimi, ai poveri in spirito, a chi riconosce di essere peccatore. La Salvezza è donata a chi è consapevole della propria povertà davanti a Dio.


4. Per Mariam ad Jesum: paradossi in musica

Pensandoci bene, l’aspetto puramente musicale di questo finale contraddice il testo che dovrebbe esprimere. O, almeno, così sembra a uno sguardo superficiale. In realtà siamo al cospetto di un vero e proprio paradoxon, di quelli tanto frequentemente usati, in seguito, dai predicatori luterani per facilitare la comprensione e memorizzazione di argomenti complessi nel popolo illetterato.
La creazione di un paradosso comporta l’accostamento di elementi tra loro contrastanti, se non addirittura apparentemente contraddittori. Per esempio, nella musica di Bach (1685-1750) l’imitazione inversa (verticalmente: inversione degli intervalli, e/o orizzontalmente: moto retrogrado) ha spesso questo scopo2. Nel nostro caso, Gaspar costruisce un paradoxon fra testo e musica: la realizzazione musicale sembra contraddire il testo, mentre in realtà ne mette in luce in modo inatteso e profondo il significato.
L’episodio imitativo è costruito secondo una particolare modalità che sembra tipica di Gaspar: alla prima voce che enuncia il motivo (Basso) si affianca una seconda voce che armonizza (Alto) - come se Gaspar avesse qualche remora nel presentare una singola voce scoperta all’avvio di un episodio imitativo3. Il motivo su cui si fonda l’episodio imitativo si avvia in modo deciso e risoluto, proponendo una nota ripetuta tre volte seguita da un intervallo di quarta ascendente.

Lo stesso motivo viene riproposto dal Tenore e dal Soprano, che, secondo il gusto in voga nella Cappella Viscontea, imitano all’unisono/ottava. Oltre alla spinta verso l’alto insita nell’inizio del motivo, anche la sequenza di entrate in imitazione tende verso l’alto: Basso - Tenore - Soprano. A questo si somma l’effetto del cambio di tempo, che accentua ulteriormente lo stacco rispetto alla parte precedente. E questo, si noti, in corrispondenza del testo “pauper, servus”: “il povero, lo schiavo”. Ci troviamo nel bel mezzo di una profonda riflessione teologica in forma di musica: gli ultimi (testo) saranno i primi (musica).
Per concludere, la parola “humilis” si sviluppa nell’arco di ben 8 battute, da 39 a 46, mentre l’episodio imitativo si completa con l’entrata del Tenore (batt. 39) e del Soprano (batt. 41), e prosegue verso il finale intessendo un tessuto contrappuntistico particolarmente vivace e ricco di varietà di movimenti. Anche in questo caso - anzi, ora più che mai, la realizzazione musicale cozza con il testo, “humilis”; e questa aperta contraddizione porta a compimento il paradoxon: per dirla con le parole del Magnificat (Lc 1, 46-55), che peraltro contiene una nutrita serie di paradoxa:

Deposuit potentes de sede
et exaltavit humiles
Ha deposto i potenti dai troni,
ha esaltato gli umili

Possiamo ben dire che nel finale di questo motetto celebra il fatto che l’umile viene esaltato, come recita il Magnificat. Non a caso, l’umiltà è una delle principali virtù di Maria, come lo stesso testo del Magnificat evidenzia in apertura:

Magnificat anima mea Dominum
Et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo
Quia respexit humilitatem ancillae suae.

Ecco allora che il rapporto testo/musica del Panis angelicus di Gaspar ci ha trasportato, come per incanto, dalla contemplazione del mistero del Pane cielo (tipico del Vangelo di Giovanni) alla meditazione sul tema “chi entrerà nel Regno dei cieli?”, indicandoci Maria come modello da seguire e, in particolare, il Magnificat come testo di riferimento quotidiano, ricordandoci una volta di più la famosa formula: “Per Mariam ad Jesum”.
1 Galeazzo fu duca di Milano dal 1466 al 1476, quando fu assassinato; dopo la sua morte i più importanti membri della sua cappella lasciarono Milano per altre corti italiane oppure, come si suppone nel caso di Compère, per tornare a nord delle Alpi. (torna al testo)
2 Sull’uso dei paradossi nella predicazione e per qualche esempio nella musica di Bach, si veda l’articolo molto interessante That crown of thorns di Tim Smith (link visitato l’8 giugno 2011). (torna al testo)
3 Gaspar si ispirava stilisticamente al gusto italiano, poco incline al contrappunto; non utilizzava spesso l’imitazione, nonostante i suoi contemporanei franco-fiamminghi stessero elaborando il nobile linguaggio del contrappunto imitativo. Sotto questo punto di vista Gaspar può apparire un po’ arcaico rispetto ai contemporanei. Come questo motetto ci mostra, del resto, Gaspar è in grado di utilizzare l’imitazione, quando lo ritiene necessario; in tal caso, dovremmo aspettarci che questa scelta abbia uno scopo preciso, come in questo motetto (cfr. la voce sull’autore in Wikipedia). (torna al testo)