Gruppo vocale Alamire - Commenti ai brani
 

Guida all’ascolto

JOSQUIN DES PRES (ca. 1450 - 1521)
Ave Maria... Virgo serena
(motetto a 4 v.)

Nonostante la complessità della questione, è ormai assodato come questo motetto sia un’opera giovanile di Josquin, probabilmente addirittura la sua prima opera di sicura attribuzione a noi nota. Secondo il musicologo Joshua Rifkin, la datazione più probabile del motetto è nei primissimi anni ’80 del XV secolo, a ridosso della datazione del più antico testimone manoscritto che ce lo tramanda1. Questo motetto risente in modo indiscutibile del contatto con lo stile compositivo tipico della cappella sforzesca di Galeazzo Maria Sforza (1444 - 1476)2, a quel tempo una delle più famose in Europa, in particolare con le opere milanesi di Loyset Compère (ca. 1445 - 1518) e Gaspar van Weerbeke (ca. 1445 - dopo il 1516)3.
Benché le notizie sulla sua vita siano piuttosto scarse e non sempre univoche, possiamo facilmente immaginare un giovane Josquin in costante movimento: tra il 1480 e il 1500 circa fu attivo principalmente in Italia, in particolare tra Milano e Roma4. Durante questo periodo formativo nella patria dell’umanesimo, Josquin sarà certamente venuto a contatto con molteplici elementi della cultura umanistica italiana - arte, architettura, la teoria della prospettiva, la riscoperta dei testi dei classici latini e greci. In particolare, considerando come a quei tempi si viaggiasse lentamente, possiamo immaginare che non solo nelle città in cui operò, ma anche in quelle toccate durante i suoi spostamenti, Josquin sia venuto a contatto almeno con la nuova architettura di ispirazione umanistica. Possiamo quindi aspettarci che l’esposizione alle nuove idee dell’architettura italiana abbia contribuito a formare o rinforzare in Josquin un’idea di architettura in musica basata su simmetrie e proporzioni in passato sconosciute (il gusto gotico privilegiava la varietas sulla regolarità); in effetti, questo motetto si distingue dalla produzione dell’epoca anche perché la sua struttura si basa sul ricorso sistematico a costruzioni simmetriche, particolarmente evidente nella regolare alternanza di duetti del tipo Superius-Altus/Tenor-Bassus5.

Nonostante le sue ragguardevoli dimensioni, il motetto presenta una trama di grande leggerezza, una struttura in cui solo in poche, scelte occasioni le quattro voci cantano insieme per un certo numero di battute, al di là della semplice sovrapposizione tra un episodio che si conclude e il successivo che incomincia. In effetti, come già anticipato, una larga parte del brano è basata su duetti che si rispondono e si completano a vicenda; l’alternanza è sempre SA/TB, occasionalmente con un rinforzo dell’Altus6. Nella maggior parte dei casi il secondo duetto risponde al precedente ripetendo sia la musica che il testo (solo in un paio di occasioni il secondo duetto canta un testo diverso)7.
1. Il testo (o, meglio, i testi)

Considerata la complessità del testo di questo motetto, che risulta composta da tre testi differenti, ci sembra utile riportarlo qui per intero (testo con traduzione):

Ave Maria, gratia plena,
Dominus tecum, Virgo serena.

Ave, cujus conceptio
solemni plena gaudio,
coelestia, terrestria,
nova replet laetitia.

Ave cujus nativitas
nostra fuit solemnitas.
Ut lucifer lux oriens,
verum solem praeveniens.

Ave pia humilitas,
sine viro foecunditas
cujus annunciatio
nostra fuit salvatio.

Ave vera virginitas,
immaculata castitas
cujus purificatio
nostra fuit purgatio.

Ave, praeclara omnibus,
angelicis virtutibus,
cujus fuit assumptio
nostra glorificatio.

O Mater Dei,
memento mei.
Amen.
Questo testo è composto da cinque strofe di quattro versi ciascuna (con schema metrico a coppie di rime baciate, AA BB) racchiuse tra un “prologo” (vv. 1-2) e una coda (vv. 23-25), entrambi di due soli versi, sempre a rima baciata (nella coda segue l’amen)8. I primi due versi corrispondono all’incipit di una sequenza medioevale (conservata, per esempio, dal manoscritto B16* della Biblioteca Capitolare di Padova, del XIII secolo).
Il corpo centrale del testo del motetto è una nota orazione che si ritrova comunemente nei libri d’ore, in particolare nel nord della Francia e nei Paesi Bassi, con svariati titoli.
Si noti come le cinque strofe siano dedicate alle feste mariane dell’anno liturgico, nell’ordine: Immacolata Concezione di Maria, Nascita di Maria, Annunciazione, Purificazione, Assunzione. Ogni strofa evidenzia il riflesso della festività a cui è dedicata sull’umanità o sulla Creazione intera.


2. Un’architettura... “perfetta”

Il motetto è chiaramente diviso, seguendo la struttura del testo, in sei sezioni più una coda. Le prime sei sezioni, comprendenti il prologo e le cinque strofe del testo centrale, sono concatenate tra loro in modo continuo, senza nette separazioni tra l’una e l’altra, né corone che possano mettere in evidenza il passaggio da una sezione all’altra; solo la coda è preceduta da una battuta vuota, e quindi risulta chiaramente separata dal resto, come risulta anche dallo stile accordale che la caratterizza9. In questo testo abbiamo numerato le sezioni da 1 a 6, escludendo la coda dalla numerazione.
Il motetto si apre con una sezione che si ispira a un uso tipico della cappella sforzesca dell’epoca, amplificandolo però ben oltre la sua normale pratica: quattro episodi imitativi all’unisono/ottava che coinvolgono tutte le quattro voci10.
Le sezioni 2 - 6 del motetto sono largamente basate su duetti alternati (SA/TB) e alcuni episodi affidati a tutte le quattro voci; le sezioni 2, 3, 4 e 6 iniziano con i duetti e a volte si concludono con episodi a quattro voci piene; solo la quinta sezione (“Ave, vera virginitas…”) e la coda sono completamente a quattro voci. La sezione 5, del resto, si pone come elemento di varietà all’interno del motetto, caratterizzata da un tempo ternario (in contrasto con il tempo binario di tutto il motetto) e da uno stile “quasi accordale”, ravvivato dal Tenor, costantemente in controtempo rispetto alle altre tre voci11.
Facciamo notare come nelle sezioni 2-6 Josquin ricorra sistematicamente all’imitazione alla quarta e alla quinta, procedimento che a quell’epoca era ancora una novità molto rara, e praticamente inesistente nella pratica compositiva della cappella sforzesca da cui il motetto ha chiaramente preso ispirazione12.
Considerando le varie sezioni che compongono il brano, abbiamo notato l’esistenza di un pattern di rapporti quasi esatti tra la lunghezza delle varie sezioni del brano misurata in battute13:
sezionebattute
131
224
324
416
517
631
Questi numeri suonano immediatamente “sospetti”; in effetti, se calcoliamo il rapporto tra la durata di una sezione e di quella seguente, ammettendo un piccolo margine di tolleranza di ± 1 battuta, otteniamo un risultato sorprendente14:
sezionirapporto esattorapporto semplificatointervallo corrisp. nella scala pitagorica
1-231 : 244 : 3quarta
2-324 : 241: 1unisono
3-424 : 163 : 2quinta
4-516 : 171 : 1unisono
5-617 : 311 : 2ottava
In pratica, questi rapporti corrispondono alle consonanze perfette della scala pitagorica, e anche agli intervalli utilizzati nell’impostazione dell’imitazione nel motetto – che, come si è detto sopra, all’epoca non erano affatto scontati. Si consideri inoltre la simmetria generale che governa questa costruzione, che permette di evidenziare diversi blocchi così formati:
  • le sezioni 1 e 6 (31 battute);
  • le sezioni 2 e 3 (24 battute);
  • le sezioni 4 e 5 (16 e 17 battute15).
Le sezioni 1 e 6, in assoluto le più lunghe, sono disposte in modo da incorniciare i due blocchi interni, composti ciascuno da due sezioni di lunghezza uguale e decrescente (24 e 16 battute). Naturalmente le proporzioni che caratterizzano questi blocchi sono governate dagli stessi significativi rapporti elencati sopra, corrispondenti ad intervalli ben precisi della scala pitagorica: 4 : 3 (quarta), 3 : 2 (quinta), 1 : 2 (ottava), con l’esclusione dell’unisono, che corrisponde alle proporzioni interne ai due blocchi (dal momento che le coppie di sezioni che costituiscono i blocchi interni hanno la stessa lunghezza, il rapporto sarà sempre 1 : 1).
Naturalmente potrebbe trattarsi di una serie di coincidenze. Oppure può essere che Josquin, sviluppando una propria personale attitudine compositiva e forse anche influenzato dalle simmetrie e proporzioni presenti nell’architettura italiana dell’epoca, possa aver voluto dare al brano nel suo complesso una struttura in qualche modo simmetrica e significativa, e abbia realizzato questo proposito grazie alle proporzioni tra la lunghezza delle sezioni che compongono il motetto. Ricordiamo che la teoria architettonica di Leon Battista Alberti (1404 - 1472), esposta nel De re aedificatoria (completato intorno al 1450), trattato fondamentale per l’architettura umanistica (e indirizzato a un vasto pubblico), utilizza i rapporti armonici della scala pitagorica come elementi fondamentali in base ai quali strutturare le proporzioni architettoniche. Come ben chiarisce Angela Pintore, “la teoria albertiana delle proporzioni musicali non sarebbe altro che un vuoto gioco intellettuale se non fosse considerata insieme al suo scopo principale, la costante ricerca della concinnitas, intesa non solo come simmetria o equilibrio, ma come una superiore armonia universale”16.
Si potrebbe inoltre obiettare che, se anche questa costruzione architettonica del motetto fosse stata coscientemente ricercata da Josquin, certo non può essere percepita durante l’esecuzione. è vero, ma è vero anche che la nostra percezione di un’opera architettonica, per esempio l’interno di una basilica, benché in vantaggio sulla percezione di un brano musicale, non ci rivela in modo esplicito le proporzioni che la regolano17. In entrambi i casi, però, benché la nostra percezione sia imperfetta, o incompleta, la nostra mente riesce a cogliere la bellezza e l’armonia che da quelle proporzioni derivano.
Si noti il fatto che noi utilizziamo quotidianamente come partitura la trascrizione pubblicata nel 1955 da Albert Smijers nella sua classica edizione dell’opera di Josquin, che mantiene le durate originali delle note. In altre trascrizioni il numero di battute potrebbe risultare dimezzato a causa dell’usuale dimezzamento dei valori e dell’utilizzo di misure come 4/2. In tal caso, le varie sezioni avrebbero un numero di battute dimezzato più o meno una battuta – che, anche in questo caso, con qualche piccolo margine di approssimazione, riportano ovviamente agli stessi rapporti elencati sopra.


3. Sezione 1. Imitazione pervasiva

Ave Maria, gratia plena,
Dominus tecum, Virgo serena.

La sezione 1 è l’unica in tutto il brano ad essere basata su episodi imitativi – quattro, per essere precisi – che coinvolgono tutte le quattro voci, fornendo l’esempio archetipico di ciò: che Julie E. Cumming definisce “imitazione pervasiva”, cioè l’utilizzo esplicito e sistematico dell’imitazione come principio costitutivo dell’architettura del motetto18. L’imitazione rigorosa dei semplici e concisi motivi che caratterizzano questa sezione secondo l’ordine costante SATB (imitazione all’unisono o all’ottava) scandisce gli spazi sonori con la stessa regolarità: con cui lunghe file di colonne e archi scandiscono gli spazi di una chiesa. Nell’ultimo episodio questa regolarità: viene interrotta: le entrate sono nell’ordine ASTB e si prepara l’intensificazione che porta alla conclusione della sezione 1.
Gli episodi imitativi sono strutturati in modo tale da lasciare lunghi silenzi tra gli interventi di ogni voce. Il risultato complessivo è una serie di “onde di suoni” ben distinte, ben visibili anche nella partitura. Solo per pochi istanti l’avvio di un nuovo episodio si sovrappone con la conclusione del precedente, stabilendo fin dal principio il carattere leggero e limpido del brano.

Rifkin fa notare come Josquin abbia utilizzato come motivo l’inizio della sequenza medievale da cui il testo di questa sezione è tratto, utilizzando una variante della melodia poco usuale, che incomincia con un intervallo di quarta ascendente, ipotizzando che questa variante fosse semplicemente quella nota al compositore19. In realtà, il terzo episodio della sezione 1 sembra utilizzare proprio la variante vulgata della melodia in questione; dovremmo quindi presumere che Josquin le conoscesse entrambe e all’avvio del brano abbia preferito la variante con l’intervallo di quarta per motivi puramente estetici, forse legati al diverso slancio iniziale della melodia:
(Superius, batt. 1-4)
(Altus, batt. 18-21)


4. Sezione 2. Cielo e terra gioiscono insieme

Ave, cujus conceptio,
solemni plena gaudio
coelestia, terrestria,
nova replet laetitia.

La seconda sezione si avvia proponendo il primo duetto SA, con risposta TB(+A). Sul testo “solemni plena…”, però, la trama contrappuntistica si fa di colpo più compatta. Da questo punto fino alla conclusione della sezione (batt. 40-54), abbiamo un momento culminante nel brano: per la prima volta, dopo ben 39 battute, le quattro voci cantano insieme in modo non occasionale, per un lungo tratto (15 battute). Dopo un breve episodio accordale (“solemni”), Josquin realizza una straordinaria, vigorosa progressione ascendente a tre voci (l’Altus canta una melodia indipendente) che esprime in modo mirabile l’idea che la gioia per la purezza di Maria fin dal concepimento ha pervaso il cielo e la terra, il mondo sublunare e quello superlunare delle sfere celesti. Per comprendere il senso di questo culmine musicale in questo punto del motetto dobbiamo pensare a come il testo poteva essere recepito da un uomo dell’epoca20.
Secondo il modello cosmologico estremamente radicato e rispettato all’epoca, fondato da quasi due millenni sul sistema aristotelico – tolemaico, la Terra stava immobile al centro dell’universo e tutti i corpi celesti le ruotavano intorno secondo un (sempre più) intricato sistema di orbite circolari. Il primo cielo, quello della Luna, segnava il confine tra il mondo della Terra e degli uomini, il mondo imperfetto dei quattro elementi, segnato dal tempo e dalla caducità delle cose, e il mondo super-lunare, perfetto e immutabile, più simile e più vicino all’essenza di Dio. Secondo la scienza dell’epoca il mondo sublunare e quello superlunare erano composti da diversi tipi di materia ed erano governati da leggi naturali diverse, persino opposte. A questo aggiungiamo il fatto che i filosofi scolastici, nel Medioevo, finirono per dare una connotazione morale negativa alla “pesantezza” dell’elemento terra e a tutto ciò che viveva nel mondo imperfetto racchiuso dalla prima sfera celeste, per cui la pesantezza fisica della terra corrispondeva al peso del peccato21. La separazione tra i due mondi era quindi totale e aveva anche implicazioni morali.
Per comprendere quanto queste idee fossero radicate, si consideri che la prima rigorosa dimostrazione del fatto che il mondo superlunare non è, in fondo, immutabile e incorruttibile, giunse quasi un secolo dopo la composizione di questo brano, ad opera del grande astronomo danese Tycho Brahe (1546 - 1601) nel 157222. Seguirono le osservazioni di Galileo (1564 - 1642) con il telescopio, pratica rivoluzionaria guardata con estremo sospetto. Nello stesso periodo Johannes Kepler (1571 - 1630), basandosi sulle osservazioni di Tycho, fu costretto a dismettere la platonica perfezione delle orbite circolari a favore di orbite ellittiche governate dalle tre leggi matematiche che portano il suo nome. Ma fu solo nel 1687, con la pubblicazione dei Philosophiae naturalis principia mathematica di Newton (1643 - 1727), che la legge di gravitazione universale dimostrò che l’universo è retto da leggi che non fanno distinzione tra il mondo degli uomini e il resto del cosmo!
Dopo questa rapida discussione dell’evoluzione del pensiero cosmologico - che non è un’astrusità, ma coinvolge in modo profondo il modo in cui ci percepiamo parte dell’universo e il senso della nostra presenza rispetto al tutto – possiamo apprezzare in modo realistico l’impatto dell’idea di qualcosa che in qualche modo unisce il cielo e la terra su un uomo dell’epoca di Josquin.


5. Sezione 3. Il pendolo cosmico

Ave cujus nativitas
nostra fuit solemnitas.
Ut lucifer lux oriens,
verum solem praeveniens.

La terza sezione si avvia, come la seconda, con una coppia di duetti, con la differenza che in questo caso il secondo duetto non ripete il testo del primo – procedimento più tipico – ma canta il verso successivo. Anche in questo caso la seconda parte della sezione consiste di un episodio a quattro voci sul testo degli ultimi due versi di questa strofa. In questo caso l’imitazione è usata in modo molto più esplicito, come nella prima sezione, e determina chiaramente la struttura dell’episodio stesso. Il motivo di questo episodio è molto semplice:
(Superius, batt. 64-68)
Partendo da questa semplice melodia, Josquin dà risalto al riferimento astronomico contenuto nei versi 3-4 della strofa esprimendo l’idea del moto periodico e costante degli astri lungo le loro orbite: Lucifero corrisponde a Venere nella sua veste di stella del mattino, che sorge poco prima del sole (il nome di Venere in quanto prima stella della sera era Vespero). Il motivo e la sua elaborazione contrappuntistica danno fortemente l’idea di una sorta di pendolo cosmico che continua a ritornare con regolarità.
(per maggior chiarezza abbiamo omesso la fine del duetto T/B, che cade nelle batt. 64-65)
Questo episodio si basa su quattro entrate in imitazione con ordine SATB, nello stesso stile dell’episodio iniziale; l’imitazione, diversamente dalla strofa iniziale – ma coerentemente con la pratica dei duetti – è alla quinta, alla quarta e all’ottava. All’interno dell’episodio possiamo notare altre due ripetizioni del motivo del pendolo cosmico, una sorta di duetto TB incastonato nell’episodio stesso (qui la ripresa del motivo non è evidenziata da pause, ma è comunque molto evidente). In questo modo il motivo del pendolo cosmico percorre tutto l’episodio, cadenzandolo con la stessa ciclica regolarità dei fenomeni celesti.


6. Sezione 4. La miracolosa leggerezza dell’Annunciazione

Ave pia humilitas,
sine viro foecunditas
cujus annunciatio
nostra fuit salvatio.

La sezione 4 è l’unica in tutto il motetto ad essere costituita da quattro duetti SA/TB / SA/TB, ognuno dei quali canta uno dei versi della strofa. I primi due duetti formano una coppia come nelle altre occasioni in cui Josquin utilizza questa tecnica: il secondo duetto ripete la stessa musica del primo, nonostante il testo diverso; il terzo e il quarto duetto, invece, sono completamente diversi tra loro.
L’impianto della sezione è molto semplice, leggero, e regolare, in netto contrasto con la sezione 5, interamente a quattro voci in uno stile che potremmo definire accordale se non fosse per il costante spostamento della parte del Tenor rispetto alle altre tre voci.


7. Sezione 5. La perfezione di Maria

Ave vera virginitas,
immaculata castitas
cujus purificatio
nostra fuit purgatio.

Della struttura di questa sezione abbiamo già parlato in più occasioni, in particolare nel paragrafo 6; della sua sfortunata fortuna come brano estrapolato e presentato come motetto indipendente abbiamo parlato nella nota 11. Presentiamo soltanto l’inizio della sezione per mostrarne le principali caratteristiche:

L’unico aspetto di questa sezione che vorremmo sottolineare qui è l’evidente cambio di tempo, da binario a ternario (vale a dire, nella terminologia dell’epoca, da imperfetto a perfetto). La sezione 5 è l’unica parte di tutto il motetto in tempo ternario, e questo è l’aspetto che la fa spiccare in particolare su tutto ciò che precede (nella nostra esecuzione facciamo più o meno equivalere una battuta di questa sezione a una battuta delle precedenti, fatto che amplifica l’effetto dovuto al cambio di tempo).
La verginità perpetua di Maria è il dogma mariano più antico (VI secolo), nonché l’unico ufficialmente esistente al tempo di Josquin, e forse anche il più dibattuto – benché negli ultimi decenni del XV secolo l’Europa non sia ancora percorsa da venti di riforma e lotte religiose. Il concetto della verginità di Maria è molto complesso e riveste particolare importanza nella dottrina cattolica e nel ruolo di Maria come modello di vita per il cristiano; forse Josquin scelse di evidenziare questa sezione proprio a causa della particolare importanza dell’argomento della strofa. In particolare, la perfezione del tempo di questa sezione potrebbe alludere alla perfezione di Maria come essere umano; in questa luce possiamo anche considerare la clausola che conclude questa sezione, che ripristina il tempo imperfetto (batt. 109-110):

La purezza di Maria ci indica la via per la nostra purificazione e, al di là di qualunque motivo tecnico o estetico che possa aver spinto Josquin a questo cambio di tempo sulla clausola della sezione, notiamo come il passaggio anticipato dal tempo perfetto a quello imperfetto avvenga in coincidenza del passaggio da Maria al contesto di un generico credente – un figlio di Adamo soggetto, a differenza di Maria, al peccato originale. Va detto che nella terminologia antica i termini perfectus e imperfectus non avevano ufficialmente una connotazione simbolica, o teologica, o morale: semplicemente, erano usati nel loro significato etimologico: in latino la parola perfectus significa “completo” e l’uso di questo termine era legato al fatto che il tempo perfetto era indicato da un cerchio; il tempo imperfetto, invece, era indicato da un cerchio incompleto - e proprio da questo simbolo deriva l’attuale simbolo del tempo “C”. In ogni caso, il passaggio dal significato tecnico e neutro a significati traslati doveva essere breve, specialmente nel contesto di un passaggio perfetto/imperfetto o viceversa.


8. Sezione 6. I moti contrari dell’Assunzione

Ave, praeclara omnibus,
angelicis virtutibus,
cujus fuit assumptio
nostra glorificatio.

Anche la sezione 6 incomincia con una coppia di duetti SA /(A)TB, ripristinando lo schema usato nelle sezioni 2, 3 e 4. Sul secondo verso della strofa Josquin suggerisce di nuovo lo stesso schema (sempre con rinforzo dell’Altus sul secondo duetto), ma presto l’episodio si evolve verso un tessuto imitativo a quattro voci.
In corrispondenza dei versi 3 e 4 della strofa compare l’elemento che caratterizza questa sezione, cioè l’uso – anche in seguito poco frequente, nella polifonia vocale – del moto contrario.
L’alternanza di melodie ascendenti e discendenti e la sovrapposizione di melodie che si muovono in direzioni opposte sottolinea in modo dinamico e con un’efficacia degna di Bach, l’idea dell’assunzione di Maria al cielo, coronamento della sua vita terrena e prefigurazione del futuro di tutti i figli di Dio che vogliano prendere Maria come modello delle proprie esistenze.


9. For whom do the singers sing?

O Mater Dei,
memento mei.
Amen

Prendiamo in prestito il bel titolo di un articolo di Bonnie J. Blackburn per sintetizzare quest’ultimo paragrafo23. Il motetto di Josquin si conclude con una coda in puro stile accordale, su cui avremmo poco da dire: meditativa, intensa, un finale anti-hollywoodiano. Ci piace comunicare alcune riflessioni della Blackburn, perché in effetti non ci eravamo resi conto della stranezza di questo inserto finale contenente una preghiera in prima persona singolare, nel contesto di un motetto il cui testo è incentrato su Maria e sull’umanità in generale nel suo cammino verso la santità.
“O mater dei memento mei” intona il cantore sulle note lunghe del finale di Ave Maria… virgo serena di Josquin, forse osservando un dipinto della Vergine, sull’altare o sul suo libro corale, forse figurandosela nella mente, forse pensando semplicemente alla cena. E dal momento che sta cantando un motetto a quattro voci, egli non è solo: tre altri cantori stanno recitando la stessa preghiera. Alcuni magari pregano per se stessi o per gli ascoltatori, altri semplicemente cantano. Coloro che cantano il motetto per la prima volta potrebbero essere colti di sorpresa trovandosi di colpo a dare voce a una preghiera, poiché Josquin ha inserito una preghiera personale alla fine di un testo sulle cinque festività della Vergine, che incomincia con il testo “Ave cuius conceptio”. Questo testo, che celebra i cinque eventi principali della vita di Maria, è differente dal solito testo proprio perché incomincia con la Concezione. Questo testo non sembra databile a prima del XV secolo ed è associato alla crescente devozione della Concezione di Maria e del culto di Sant’Anna24.
La dottrina dell’Immacolata Concezione di Maria fu oggetto di aspre dispute tra Domenicani (contrari) e Francescani (favorevoli); papa Sisto IV, francescano, proclamò ufficialmente la festività dell’Immacolata nel 1477, proprio negli anni precedenti la composizione di questo motetto, ma la dottrina fu eretta a dogma solo nel 1854 da papa Pio IX.
Josquin sembra prendere posizione a favore dell’Immacolata Concezione di Maria, utilizzando il testo originale “Ave cuius conceptio…”, mentre in alcune fonti soggette all’influenza domenicana i primi due versi della strofa sono sostituiti da “Ave coelorum Domina, / Maria plena gratia”25. Inoltre, come abbiamo visto parlando della sezione 2, Josquin dipinge in modo grandioso la gioia dell’intero universo per l’eccezionale evento; possiamo quindi pensare che la composizione di questo motetto abbia coinvolto in modo particolare la fede di Josquin. Non a caso, dunque, il brano si conclude con una preghiera personale. La Blackburn si chiede:
Per chi cantano i cantori? Non è una domanda che ci si pone spesso, e probabilmente i cantori stessi raramente pensano a questo. La risposta più facile sarebbe “per la gloria di Dio”. Spesso la risposta sarà che i cantori cantano per se stessi, per il puro gusto di cantare. A volte è solo un lavoro: cantano per riempire la pancia. La domanda si fa più pressante nel caso della musica sacra: al cantore importa in qualche modo il testo che sta cantando? È necessario essere un credente per cantare una professione di fede, come facciamo quando cantiamo l’Ordinario di una Messa? Naturalmente per molti la risposta a questa domanda è: “No”. Tuttavia io sospetto che molti siano disposti a cantare parole che non sarebbero affatto disposti a dire26.
Così facciamo nostre le considerazioni della Blackburn e accettiamo il fatto che a volte un artista - poeta, pittore, compositore - colga un’occasione propizia per “offrire alla Vergine la propria abilità artistica e la propria preghiera. Un tempo e uno spazio di un altro genere governano le preghiere in musica e in poesia: quando cantiamo o recitiamo un’opera di un autore deceduto facciamo ancora una volta risuonare la sua preghiera, come da oltre la soglia della morte. Così ogni volta che cantiamo Ave Maria… Virgo serena noi cantiamo anche per Josquin”27.


1 J. Rifkin, Munich, Milan, and a Marian motet : dating Josquin’s Ave Maria… virgo serena, “Journal of the American Musicological Society”, 2003, 56(2), 239-350. Il manoscritto in questione è Munich 3154, conservato alla Bayerische Staatsbibliothek. (torna al testo)
2 Galeazzo fu duca di Milano dal 1466 al 1476, quando fu assassinato; dopo la sua morte i più importanti membri della sua cappella lasciarono Milano per altre corti italiane oppure, come si suppone nel caso di Compère, per tornare a nord delle Alpi. (torna al testo)
3 Rifkin, pag. 241; 265-279.(torna al testo)
4 Nel XV secolo le corti italiane, non ultima quella papale, furono il centro di una forte rinascita culturale che attirava artisti e intellettuali da tutta Europa. Moltissimi compositori franco-fiamminghi della grande generazione che forgiò il contrappunto rinascimentale (che viene spesso definita “la generazione di Josquin”) vissero e operarono a lungo in Italia, trovandovi un ambiente ricco di occasioni di lavoro e anche di nuovi stimoli. L’uso dei procedimenti imitativi, innovazione operata principalmente da questi compositori, è secondo noi la realizzazione musicale delle stesse istanze intellettuali ed estetiche che portarono a tanta architettura italiana dell’epoca e alla teoria della prospettiva rinascimentale - in fondo, la polifonia è un’architettura di suoni. Ricordiamo, peraltro, come anche la grande innovazione della stampa a caratteri mobili, nonostante le origini tedesche, proprio in Italia abbia trovato fertile terreno per svilupparsi, tanto che una larga parte degli stampatori attivi in Italia nei primi decenni di storia della tipografia erano di origini germaniche. (torna al testo)
5 Rifkin, pag. 284. (torna al testo)
6 Cfr. batt. 36-39 e batt. 137-141. (torna al testo)
7 Cfr. batt. 54-65, in cui il duetto SA canta il primo verso della corrispondente strofa del testo e TB canta il secondo; la quarta sezione del motetto (batt. 78-93) è interamente basata su due coppie di duetti alternati (sempre nell’ordine SA/TB), ognuno dei quali canta uno dei quattro versi che compongono la strofa del testo. (torna al testo)
8 Anche l’utilizzo di testi compositi viene ricondotto da Rifkin al gusto della cappella sforzesca: cfr. Rifkin, pag. 277.(torna al testo)
9 In questo testo useremo il termine “strofa” soltanto in riferimento al testo poetico; il testo centrale, che inizia con “Ave, cujus conceptio” è a tutti gli effetti un testo strofico, con una struttura metrica e retorica ripetuta costantemente nelle varie strofe. Il testo del prologo, estraneo al testo principale del motetto, ha un’elaborazione musicale ben distinta dalle strofe seguenti anche dal punto di vista stilistico, ma è anche integrato con l’avvio dell’elaborazione della prima strofa del testo centrale; per questo abbiamo considerato il prologo come una strofa aggiuntiva. Sarebbe invece inappropriato parlare di strofe in riferimento alla musica, in quanto una composizione musicale strofica implicherebbe la ripetizione della stessa musica ad ogni strofa, fatto che chiaramente non si riscontra nel motetto. In generale, quindi, preferiamo riferirci al brano come testo-musica parlando più genericamente di “sezioni”. (torna al testo)
10 Rifkin, pag 281 e nota 88. (torna al testo)
11 La sezione 5, per inciso, ha una dubbia fama, dovuta al fatto che, per ragioni ignote, qualcuno l’ha estrapolata dal suo contesto, attribuendole il testo delle ultime due strofe del testo centrale del motetto e facendola seguire dalla coda. In questo modo viene spesso eseguito un inesistente motetto di Josquin dal titolo Ave, vera virginitas, risultante da questa impropria manipolazione. (torna al testo)
12 Rifkin, pag. 278. (torna al testo)
13 Naturalmente la notazione musicale al tempo di Josquin, e per parecchio tempo a seguire, non prevedeva la suddivisione esplicita in battute; ma è anche vero che tale suddivisione esisteva, implicitamente, e veniva realizzata naturalmente dagli esecutori. (torna al testo)
14 Si noti però che la sezione 5 è in tempo ternario (tre semibreves); questa sezione occupa 17 battute invece di 16 soltanto perché la clausola che la conclude (affidata in particolare all’Altus, batt. 109-110) ripristina il tempo binario utilizzato in tutto il resto del brano; di fatto, da un punto di vista puramente matematico, le due battute in questione corrisponderebbero a una sola battuta del tempo ternario più una semibrevis. Dal punto di vista della durata, quindi, possiamo considerare questa sezione come se fosse lunga 16 battute. (torna al testo)
15 Cfr. nota precedente. (torna al testo)
16 Angela Pintore, Musical Symbolism in the Works of Leon Battista Alberti: from De re aedificatoria to the Rucellai Sepulchre, “Nexus Network Journal”, 2004, 6(2), 49-70. La citazione è tratta da pagina 67; la traduzione è nostra. (torna al testo)
17 La percezione visiva di una struttura è più semplice e più generale, in quanto simultanea e non limitata ad una percezione seriale, mentre anche nel caso di una semplice melodia siamo costretti ad eseguire e ad ascoltare la musica in un lasso di tempo esteso, un suono per volta. (torna al testo)
18 Julie E. Cumming, From variety to repetition: the birth of imitative polyphony, in Yearbook of the Alamire Foundation 6, Leuven, 2008, pagg. 21-44. Il volume è disponibile online (URL riportato il 13 marzo 2009). Come si può notare, esiste una Alamire Foundation in Belgio. Il suo nome deriva da Petrus Alamire (Peter van den Hove)(ca. 1470 – 1536), musico, compositore e molto altro, tra cui spia per conto di Enrico VIII d’Inghilterra, ma soprattutto celebrato copista, autore di numerosi manoscritti musicali miniati. Tra il Gruppo vocale Alamire e la Alamire Foundation non esiste alcun rapporto, oltre al comune nome. (torna al testo)
19 Rifkin, pag. 274. (torna al testo)
20 Per altre considerazioni di carattere teologico e religioso su questa sezione, in particolare sulla posizione di Josquin in merito alla dibattuta questione dell’Immacolata Concezione di Maria, si veda il paragrafo 9. For whom do the singers sing?. (torna al testo)
21 La fisica aristotelica attribuiva alla naturale pesantezza dell’elemento terra il fatto che la Terra occupasse questo posto nell’universo. (torna al testo)
22 Nel 1572 una “stella nova” si accese in cielo e per varie settimane fu l’astro più brillante dopo la Luna, visibile anche di giorno: si trattava di una supernova. Mentre gli astronomi dell’epoca cercavano di spiegare quella variazione inattesa nel mondo celeste, generalmente sostenendo che si trattava di un fenomeno atmosferico (così erano spiegate anche le comete e le meteore), Tycho dimostrò in modo inoppugnabile che la “stella nova” era, appunto, una stella perché la sua posizione rispetto alla sfera delle stelle fisse non cambiava. (torna al testo)
23 Bonnie J. Blackburn, For whom do the singers sing?, “Early Music”, 1997, 25(4):593-610. Le traduzioni sono nostre. (torna al testo)
24 Blackburn, pagg. 603-604. (torna al testo)
25 Blackburn, pag. 609, nota 25. (torna al testo)
26 Blackburn, pag. 594. (torna al testo)
27 Blackburn, pag. 604. (torna al testo)